Onorevoli Colleghi! - La seguente proposta di legge, che riprende modifiche alla disciplina dello svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore già approvate nella XIV legislatura, dimostra che quelle scelte di politica scolastica sono state sempre improntate a riformare e a modernizzare l'impianto del sistema educativo, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli indirizzi europei: obiettivi a rischio a seguito dei nuovi indirizzi governativi.
      Ma perché riformare gli esami di Stato? Cosa colpisce l'opinione pubblica? Da tempo si è aperto un grande dibattito nel Paese. Sostanzialmente, colpiscono due elementi: la composizione della commissione e l'alta percentuale di promossi, dai quali si dedurrebbe che l'esame non è più serio come una volta.
      La prima considerazione, dunque, è come far sì che questi esami siano seri. Chi vuole che questi esami siano seri? Cosa significa proporre una formula che garantisca serietà all'esame?
      Se volessimo valutare semplicemente le percentuali dei promossi, dovremmo dedurre che gli ultimi esami «seri» ci furono nel 1925.
      Infatti, in quell'anno, in piena dittatura fascista, che aveva introdotto questo tipo di esame, si registrò il 75 per cento di bocciati alla prima sessione d'esame. Ma anche il Governo di Mussolini, dietro le pressioni delle famiglie, dovette istituire ben tre sessioni riservate d'esami per recuperare i bocciati. Alla fine i ragazzi bocciati risultarono solo il 25 per cento dei candidati.
      Da quel fatidico anno le cose sono andate sempre «migliorando» per quanto

 

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riguarda l'esito finale, con una progressione costante fino al 98 per cento di maturati dell'anno scolastico 2005/2006, ma con punte anche del 99,99 per cento registrate negli anni scorsi e, soprattutto, negli anni di applicazione della legge n. 425 del 1997, voluta dal Ministro Berlinguer. Con quella legge il Ministro pro tempore cercò, almeno nelle intenzioni, di riportare rigore negli esami finali. Infatti, aveva ripristinato l'esame su tutte le materie. In realtà, con la legge n. 425 è stato introdotto un meccanismo «perverso» di crediti e di punteggi che consente, da allora - come è emerso dal monitoraggio effettuato dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) nel 2000 - anche agli studenti che conseguono insufficienze gravi agli scritti di essere promossi, grazie ad una super valutazione della prova orale che prevede un punteggio di ben 35 punti su 100, usato dalle commissioni per innalzare la votazione finale e, in molti casi, per promuovere.
      Per queste ragioni, sono ormai molti coloro i quali, soprattutto tra intellettuali e opinionisti, chiedono un esame selettivo, severo, esigente, impegnativo, una specie di rito di iniziazione per la maturità e l'età adulta. In realtà, la questione centrale, dopo la scolarizzazione di massa che ha interessato la nostra scuola a partire dagli anni '70, non sta più soltanto in un problema di selezione fine a se stessa. Né si può ancora agitare la questione del valore legale del titolo di studio. Infatti, anche riconoscendo che i titoli conferiti dagli istituti superiori continuano ad avere valore legale in quanto producono effetti giuridici (consentono la prosecuzione degli studi, la partecipazione a concorsi pubblici o l'inserimento nel mondo del lavoro), il vero problema oggi è la qualità delle conoscenze possedute dagli studenti affinché producano competenze certificabili e spendibili per una efficace prosecuzione degli studi o per l'inserimento attivo nel mondo del lavoro. Dunque, l'unico vero rigore che è giusto perseguire, accanto al riconoscimento del merito, diviene la certificazione delle competenze conseguite al termine degli studi superiori attraverso modalità oggettive e comparabili e quindi attraverso valutazioni esterne, esattamente come avviene in Europa e in tutti i Paesi economicamente più avanzati e che vantano i migliori livelli di apprendimento nelle analisi comparative internazionali.
      Per queste ragioni, siamo convinti che il disegno di legge del Governo recante disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, deliberato nella riunione del Consiglio dei ministri del 4 agosto scorso, non solo non centra l'obiettivo, ma riporta indietro il sistema educativo, abrogando norme introdotte con la «riforma Moratti» che, pur non essendo state ancora sperimentate, andavano nella direzione indicata e fortemente auspicata dagli scenari europei e internazionali.
      Se poi le novità della legge proposta dal Governo consistono nella reintroduzione dello scrutinio di ammissione all'esame, nelle prove laboratoriali per gli istituti tecnici e professionali o nel raccordo tra scuola e università, il Ministro Fioroni arriva tardi: queste disposizioni sono già legge, previste nel decreto legislativo n. 226 del 2005, relativo al secondo ciclo di istruzione, la cui applicazione è stata sospesa dal Governo. Così, pure il freno alla pratica dei cosiddetti «ottisti», usata in modo scorretto da alcune scuole, e la diminuzione del numero dei candidati esterni ammessi a sostenere l'esame di Stato presso le scuole paritarie sono misure già previste dal medesimo decreto legislativo.
      Se invece la novità sta nel fatto che per l'ammissione agli esami dovranno essere saldati i debiti scolastici, allora siamo di fronte a un rigore fasullo e demagogico. Puntare a un maggior rigore nella valutazione scolastica è giusto ed è un obiettivo che è stato perseguito nella legge di riforma della XIV legislatura. Ciò che è, però, profondamente ingiusto dal punto di vista educativo, è pensare di introdurre un esame finale più rigoroso senza modificare i meccanismi di valutazione di tutto il percorso precedente. Come si può chiedere a un giovane di non avere lacune nella
 

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preparazione, se per quattro anni non è stato obbligato a recuperare i debiti formativi?
      Nel decreto legislativo sul secondo ciclo della riforma Moratti è stato introdotto, per questo, un sistema di valutazione rigoroso e graduale, interno ed esterno, capace di registrare i livelli di apprendimento dello studente nei bienni che precedono l'ultimo anno, al fine di consentire il recupero graduale degli insuccessi scolastici all'interno del biennio, pena la non ammissione a quello successivo.
      In più, sempre nel disegno di legge del Governo Prodi, appaiono decisamente superate e inefficaci le scelte che si riferiscono a due variabili dell'esame di Stato: le commissioni e le prove.
      Quanto al ritorno alla commissione mista, si tratta di uno schema già utilizzato, che non ha mutato né risolto i problemi dell'esame di Stato, rivelandosi inefficace e costoso. Ma, soprattutto, troviamo inaudito che il Ministro decida di riconsegnare a se stesso e alla burocrazia ministeriale l'elaborazione e la scelta delle prove d'esame, caso unico in Europa. Ne viene fuori un nuovo Giovanni Gentile, la cui ombra politica e ideologica resta per il centrosinistra l'unico modello di riferimento. Ma almeno Gentile, negli anni \`20, doveva scegliere solo quattro prove scritte (italiano, latino, greco, matematica), sulle quali era facile, per un uomo della sua cultura, dimostrare pieno controllo e competenza. Oggi, il Ministro si arroga il compito di confezionare e scegliere una decina di prove per l'esame di italiano e più di 500 per la seconda prova scritta. Nel decreto legislativo n. 226 del 2005 erano state previste, al contrario, norme che affidavano al nuovo istituto di valutazione (INVALSI) la responsabilità di garantire qualità e obiettività alle prove. Il Ministro Fioroni ritorna a un modello da «Stato educatore». Scegliendo di mantenere la prerogativa delle prove in ambito ministeriale, non solo, dunque, il Governo delegittima un organismo «terzo» che avrebbe - questo sì - riportato rigore ed efficacia alla valutazione finale, ma compie una scelta di restaurazione verso una totale autoreferenzialità, che è anche il segno di una grande sconfitta sul piano del riformismo e della modernizzazione del sistema.
      In conclusione, non condividendo le scelte di riforma degli esami di Stato contenute nel disegno di legge governativo, che riconsegnerà la scuola alle burocrazie ministeriali e sindacali e ci allontanerà dall'Europa e dai Paesi più avanzati dove si pratica, invece, nelle fasi conclusive degli studi, la certificazione delle competenze, intendiamo, attraverso la presente proposta di legge, riportare il dibattito parlamentare sulle scelte operate dal Governo Berlusconi nella XIV legislatura.
      All'articolo 1 si richiamano le finalità dell'esame di Stato.
      All'articolo 2 si riprendono le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 226 del 2005 relative ai requisiti di ammissione all'esame, con il ripristino dello scrutinio di ammissione da parte del consiglio di classe e norme tese a garantire maggiore trasparenza e maggiore rigore per i candidati interni ed esterni.
      All'articolo 3 vengono definite le prove d'esame che, da una parte, valorizzano e responsabilizzano le scuole autonome assegnando loro il compito di predisporre le due prime prove scritte coerentemente con il progetto educativo di istituto e, dall'altra, mantengono la terza prova a carattere pluridisciplinare e nazionale. Essa viene predisposta dall'INVALSI ed è finalizzata a certificare le competenze acquisite dagli studenti al termine degli studi superiori con riferimento al profilo educativo, culturale e professionale stabilito a livello nazionale per gli apprendimenti fondamentali e per quelli caratterizzanti l'indirizzo prescelto, nonché i livelli di padronanza linguistica in inglese e nella seconda lingua comunitaria.
      Il punteggio e i crediti assegnati agli studenti valorizzano il percorso di studio e uniformano il punteggio della prova orale a quello delle altre prove.
      All'articolo 4 si ripropone la commissione interna con un presidente esterno nominato dal Ministero della pubblica istruzione.
 

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